Nell’ultimo numero di Internazionale dedicato al viaggio Giovanni di Mauro nel suo editoriale scrive “Bisognerebbe ricordarsi di scrivere una lettera a se stessi dopo ogni viaggio, per rileggerla prima del successivo”
Io sono tornata da New York da 2 settimane circa e fino ad oggi non ho avuto il coraggio di scrivere questa lettera, forse non è una questione di essere codardi piuttosto che non amo tanto provare nostalgia e questa volta ne ho davvero tanta.
Tralasciando la città che non ha bisogno di presentazioni e descrizioni mi soffermerò a parlare della materia più inerente a questo blog: l’arte, motivo principale del mio viaggio cercando, per quanto mi sarà possibile, di essere sintetica e di non andare fuori tema.
Sono partita per fare un corso al Sotheby’s Institute of Art, la scuola d’arte della famosa casa d’asta. Era un sogno nel cassetto che avevo da tempo e quest’anno finalmente sono riuscita a realizzarlo.Un po’ timorosa all’inizio ho trovato un ambiente fantastico a partire dal professore fino ai compagni di corso persone di diverse età, da ogni parte del mondo, ognuno con diverse storie ma con un’unica passione quella che ci ha permesso in pochi giorni di stringere amicizia e di trascorrere del tempo davanti ad un bicchiere di vino, un piatto di pasta mal cucinato, o ingannare l’attesa della metropolitana o passeggiare per le vie di Manhattan parlando di arte. Un corso che mi ha chiarito l’idee sul mercato dell’Arte e mi ha permesso di incontrare persone che se ne occupano per professione ognuna con storie e background diversi.
Ho visto tante cose belle, approfondito la conoscenza di alcuni artisti e scoperto di nuovi.
Ho conosciuto la street art come non avevo mai fatto prima. Nel quartiere dove avevo casa a Williamsburg un sabato mi sono avventurata in un tour a piedi con David, newyorchese trasferitosi nel 2010 dal Bronx a Brooklyn. David ha una grande passione per la street art tanto da iniziare a fare da guida in giro per il suo quartiere nel weekend, documentando ogni nuovo lavoro con il suo telefonino. “I am not a camera man” mi ha detto. In piu’ di 2 ore mi ha fatto vedere tanti artisti, mi ha portato a scovarli in una rimessa per motociclisti ed in un garage, mi ha fatto conoscere B.D. White artista della zona costretto su una sedia a rotelle, mi ha fatto notare come siano perfetti nei dettagli i topi giganti di ROA, mi ha fatto vedere i lavori di Cake, street art donna, mi ha raccontato di quando e’ arrivato da Barcellona Francisco de Pájaro che mentre lavorava raccoglieva anche 60 persone al seguito, mi ha fatto vedere l’opera di Mike Makatron di Melbourne appena terminata. Lungo il cammino ogni tanto anche lui si e’ fermato a fotografare scoprendo qualche lavoro mai visto prima. Alla fine mi ha salutato dicendo che il bello della street art e’ che e’ arte in continuo movimento e ogni mattina che scende di casa sa già che probabilmente troverà qualche nuova opera ad aspettarlo.
Poi durante il mio soggiorno a New York è cambiata la mia idea sull’arte pubblica o meglio forse ho visto veramente cosa vuol dire realizzare un progetto del genere. Prima tra tutti l’High Line parco realizzato su una linea ferroviaria in disuso da Meatpacking District al cuore di Chelsea, inaugurata nel 2009. Una passerella verde sulla citta’ e all’interno dell’architettura newyorchese creata grazie alla collaborazione tra residenti della zona e sostenitori pubblici e privati. Durante il percorso,circa un 1km e 22 da Gansevoort Street alla 30th Street si trovano opere d’arte come il murales di Ed Ruscha e le statue di Antoine Catala, che periodicamente si rinnovano grazie al progetto parallelo High Line Art. Altro progetto di arte pubblica è il Public Art Fund, organizzazione no profit che presenta progetti di arte contemporanea negli spazi pubblici di New York come l’installazione Cloud di Olaf Breuning presso Central Park, 60th Street & 5th Avenue. I fondi per l’organizzazione, molto attiva sui social network, arrivano attraverso il sostegno non solo di privati ma anche di cittadini che possono inviare via web il loro contributo.
Poi ho visitato l’Arte privata delle gallerie, prime tra tutte quelle del distretto di Chelsea. La bellissima installazione Our friend fluid metal di Nina Rubins alla Gagosian Gallery, una celebrazione delle potenzialità estetiche degli oggetti che popolano la nostra quotidianità.
Ho scoperto le piccole librerie dedicate all’arte, luoghi con la propria identità ed il proprio fascino che portano avanti progetti indipendenti. Lo Sketchbook Project di Brooklyn:una libreria d’arte che raccoglie 31000 opere da 135 Paesi nel mondo ed e’ in continua crescita. Gli sketchbook sono opere create su quaderni di vario tipo con penne, colori, matite, bricolage etc. Dagli artisti professionisti, agli studenti a chiunque desideri farlo il progetto é aperto a tutti. Ci si può iscrivere online pagando una quota di 25 dollari che offre anche la possibilità di prendere parte al tuor espositivo itinerante del 2015. Sempre a Brooklyn il comic book store Desert Island che ha pubblicazioni illustrate da tutto il mondo. Infine a Chelsea la libreria Printed Matter che vende libri pubblicati da soli artisti.
Ho ammirato i musei così immensi e meticolosi nella ricerca ed esposizione artistica. Il Guggenheim Museum che ora ospita una mostra sul Futurismo Italiano e mi ha fatto riflettere sul fatto che per approfondire la conoscenza di questo movimento artistico e culturale di una certa rilevanza nel mondo dell’Arte io abbia dovuto fare un viaggio oltreoceano. Il Metropolitan Museum, luogo immenso per cui forse una settimana di visita non basterebbe. Ho apprezzato il fatto che accanto all’arte più antica in questo luogo conviva anche il contemporaneo senza sovrapporsi, ma soltanto arricchendo la visita dello spettatore. La Frick Collection una casa museo materializzazione della grande passione che ha accompagnato per tutta la vita il collezionista Henry Clay Frick.
Ho visto per la prima volta la mostra dal vivo di un artista che ho sempre seguito Ai Weiwei e scoperto il talento di Lydia Clark. La retrospettiva According to What? al Brooklyn Museum dell’artista contemporaneo cinese Ai Weiwei racconta la sua espressione artistica, dalla scultura alla fotografia che è prima di tutto denuncia sociale. Di lui mi piace l’idea di come riesca a mettere la sua creatività al servizio della società e come la renda comunicazione di dissenso, pacifica ma molto efficace. Poi Lygia Clark un’artista brasiliana che nella sua vita si è dedicata alla pittura, scultura a negli ultimi alla performance per l’arte come terapia. Al Moma e’ ora presente la sua mostra The Abandonment of the Art. Particolarmente belle le sue sculture (bichos) create in modo tale da poter essere manipolate dallo spettatore ed assumere una forma differente.
E poi la Flag Art Foudation, il Moma PS1, le gallerie del Lower East Side e la Morgan Library.
Amare New york è facile, direte. Ma io la amo principalmente per non il suo non arrendersi mai al tempo che passa, ma rinnovandosi ogni giorno.
Amo il suo sapere celebrare e forse anche mitizzare il presente esibendo e ricercando l’arte contemporanea senza esitazioni o remore come con Jeff Koons star del mercato dell’arte statunitense e re di questa stagione con la sua mostra al Whitney Museum. Amo il suo dare importanza ai luoghi istituzionali dell’arte come i Musei, centri culturali con progetti espositivi unici e ricercati ma anche alla strada con la street art e i progetti di arte pubblica
Amo il suo non essere autoreferenziale ma essere il luogo dove poter scoprire a fondo i movimenti artistici o artisti di altri Paesi.
Amo il fatto che ogni giovane artista la elegga come luogo da cui partire per esplorare il mondo dell’Arte
Forse più che una lettera a me stessa è una lettera a te New York per ringraziarti.
Grazie e alla prossima avventura.