E’ sacrosanto che i generi creativi dialoghino tra loro: il film ispira la moda, la moda ispira la fotografia, la fotografia crea nuovi generi artistici e l’arte influenza il mondo del design.
Questo processo è vitale per ogni ambito sia perché lo rende ricco di stimoli e nuovi punti di vista, sia perché permette allo spettatore di creare un fil rouge tra i generi che lo aiutano nella comprensione e metabolizzazione del messaggio creativo.
L’arte soprattutto nelle sue espressioni più contemporanee spesso dialoga con la moda, il cinema e altri settori creativi con risultati più o meno convincenti.
Il 24 e 25 gennaio l’artista italiano Francesco Vezzoli realizza presso il Palai d’Iléna di Parigi un museo immaginario per 24 ore con il supporto della maison Prada, già suo mecenate in altre occasioni.
L’intento dell’artista è quello di creare una sorte di museo immaginario, 24 h Museum il nome dato al progetto, animando il palazzo con installazioni di luce e sculture, inaugurato da una grande party accessibile solo su inviti.
Oltre al lato glamour di quest’opera Vezzoli ha pensato anche al lato social: tutte le persone con un account Facebook potranno collegarsi con un’applicazione dedicata al sito di 24h Museum e trasformare il proprio ritratto in un’opera dell’artista italiano.
Quello che non mi convince è l’obiettivo comunicativo di questo progetto, che mi sembra molto autoreferenziale più che destinato veramente ad un’audience popolare, come potrebbe far intendere la connessione con il più famoso dei social network.
Un’inaugurazione molto glamour per un’installazione di 24 ore a cui però il pubblico vero potrà assistere per la maggior parte via Internet; l’effetto finale non è arte per tutti, ma un palazzo dove l’artista e committente fanno festa mentre il pubblico plebeo guarda dal buco della serratura di Facebook.
Vezzoli dichiara in una delle sue interviste: “le persone sono infelici ai giorni nostri, e se riuscirò a strappargli una risata nella mia disco-scultura, vorrà dire qualcosa”
Siamo sicuri che è questo che vorremmo oggi dai nostri artisti contemporanei?
Per quanto mi riguarda la risposta è decisamente no.