Sono seduta nel bar dell’aeroporto di Bilbao nell’attesa del mio volo di ritorno a Londra.
E’ un po’ di tempo che non scrivo per diversi motivi: il lavoro, una città da conoscere e con cui fare amicizia, sebbene siano passati 9 mesi dal mio trasferimento e semplicemente perché in alcuni momenti è giusto per fermarsi.
Fermarsi a pensare, fermarsi per trovare di nuovo ispirazione.
I migliori riescono a trovarla anche nella quotidianità.
Io a volte invece ho bisogno di muovermi.
Bilbao era da tempo nella lista delle mete desiderate, così quest’anno per il mio compleanno ho deciso di regalarmi questo viaggio.
Uno dei motivi principali per cui ho scelto questa questa città basca, da amante dell’arte, è il Museo Guggenheim.
Questo museo, progettato dall’architetto canadese-americano Frank Genry, è parte della Solomon R. Guggenheim Foundation ed insieme al suo omonimo newyorchese costruito nel 1959 uno dei musei più famosi del mondo.
Per me un luogo di culto nel panorama delle istituzioni artistiche.
La sua imponente struttura fatta di pietra, acciaio e vetro sebbene maestosa si integra perfetta con il paesaggio urbanistico circostante.
Sembra essere un enorme essere marino dalle origini ignote che ha deciso di fermarsi lungo le rive del fiume Nerviòn, che attraversa Bilbao.
Un mio amico architetto lo ha definito un ottimo esempio di scultura piuttosto che un’opera di architettura e difficilmente riesco a dargli torto.
Perché prima di scoprire quali tesori custodisce all’interno il visitatore viene attirato dalla struttura esterna del Guggenhiem, con la sua superficie riflettente quasi ipnotizzante.
Circondano il museo diverse installazioni di arte contemporanea.
Da un lato la Maman dell’artista Louise Bourgeois, esponente della confessional art.
Una grande scultura a forma di ragno di bronzo e acciaio con la quale la spiderwoman, così venne soprannominata per questa tipologia di opere che richiamano gli aracnidi, ha celebrato la forza ed il carattere della madre, vista come un ragno,
Dall’altra parte Puppy dell’artista Jeff Koons, un cane gigante, un West Highland Terrier per la precisione, ricoperto con un tappeto di piante e fiori.
Koons con questo animale lega passato e presente, impiegando sofisticate tecniche di progettazione al computer per creare un’opera che si ispira ai giardini europeo del XVIII secolo.
Puppy è stato creato per comunicare gioia e protezione richiamando la figura del docile animale domestico, ma che per via delle sue dimension fuori controllo incute quasi timore.
La Maman e Puppy sono fedeli custodi del grande Guggenheim e noi visitatori piccole entità che animano gli spazi tra le installazioni, l’edificio e le mostre al suo interno in un gioco di ruoli che richiama una grande matrioska.
Una volta superata l’entrata l’interno è costituito da 3 piani in cui ci sono opere d’arte appartenenti alla collezione permanente ed esposizioni temporanee.
Al piano terra c’è l’immensa installazione The matter of time dell’artista americano Richard Serra.
L’installazione è formata da diverse sculture fatte d’acciaio che assumono forme differenti, lavorate per dargli densità, empatia e potere.
Il visitatore può entrarci e camminarci, può seguire le loro involuzioni ed evoluzioni.
Il visitatore è la parte attiva dell’opera.
In un epoca ricca di immagini, parole, di un’estetica eccessiva Richard Serra mette ognuno di non a confronto diretto con la materia. Ci permette il lusso di riprenderci il nostro tempo. Perché siamo noi che decidiamo come rapportarci a quest’opera, come esplorarla e osservarla: possiamo attraversarla lentamente, possiamo correre al suo interno, chiudere gli occhi o camminarvi all’indietro. L’artista ci mette a disposizione lo strumento, ma siamo noi i veri protagonisti.
Nella parte dedicata alle mostre temporanee mi aspettano Jeff Koons e Jean-Michel Basquiat.
Jeff Koons è un artista che apprezzo molto e ho avuto occasione di approfondire numerose volte, ma la vera piacevole sorpresa è stata la nostra dedicata a Basquiat, prima retrospettiva organizzata in Europa.
Artista newyorchese di madre portoricana e padre haitiano Basquiat inizia la sua carriera artistica nelle strade con i graffiti insieme al gruppo S.A.M.O. acronimo di “Same old shit”
Dagli 1980 in poi i suoi lavori, che dai muri cominciano a prediligere la tela come supporto artistico, cominciano ad acquisire fama e critiche positive nel mondo dell’arte, notorietà che coincide con l’incontro con Andy Warhol che diventa suo mentore.
Nelle opere di Basquiat si vede tutto il fascino per l’arte africana, haitiana e azteca e allo stesso tempo la sua ammirazione per aristi come Picasso, De Kooning e Pollock. La sua cultura artistica è stata alimentata fin dall’infanzia quando insieme alla mamma e alla sorella era solito visitare abitualmente i musei più importanti di tutta New York.
Ma nei suoi lavori si riconosce anche la strada, luogo dove è iniziata la sua carriera artistica, strada che si riflette nella rappresentazione di uomini comuni ritratti come eroi e guerrieri con la corona in testa (elemento spesso presente nei suoi dipinti proveniente dai tag utilizzati nella sua carriera da street artist), uomini di colore a cui secondo lui non è mai stata data la giusta rilevanza come soggetti nell’arte.
Sebbene Basquiat abbia avuto un’esistenza breve, morto a soli 27 anni, il suo è stato un lavoro prolifico ispirato da culture differenti, ricco di simboli e storie, che richiama valori universali come la libertà, il razzismo, la precarietà dell’esistenza.
Per questo motivo la sua retrospettiva si intitola Now is the time riprendendo il celebre discorso di Martin Luther King del 1963, che sebbene sia stato fatto venti anni prima trova nelle opere di Jean Michel pieno sostegno.
E allo stesso tempo l’arte di Basquiat, complessa e sofisticata, che richiama grandi artisti e graffissimo, che ha come colonna sonora il jazz , Charlie Parker tra tutti, il rap e il punk ha un potere comunicativo senza tempo che la rende ogni giorno attuale e capace di comunicare , questo è il segreto perché ogni artista resti eterno.
Basquiat nonostante la sua breve esistenza ha raggiunto il suo scopo e il Guggenheim, tempio dell’arte, gli rende onore degnamente,
vien voglia di andare e starci per ore e ore!
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vien voglia di andare e starci ore e ore! complimenti per l’articolo
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